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Il Social Media Manager non è il Marketing Manager

Una distinzione non sempre chiara.

I Social Media sono uno degli strumenti del Marketing e, di conseguenza, il Social Media Manager è quel professionista che ottimizza gli strumenti messi a disposizione dai Social Network per sviluppare su quelle piattaforme quanto contenuto nelle linee guida del piano Marketing.

Il Marketing Manager è il direttore d’orchestra.

E’ infatti questa figura che si occupa, in accordo con la direzione commerciale (e non solo), di tracciare la macro strategie da seguire per conseguire gli obiettivi aziendali e di definire le iniziative più specifiche per ottenere dal mercato risposte a breve, lungo e medio termine.

I Social Media, nonostante abbiano proprie regole e processi di sviluppo, si inquadrano in una strategia di più ampio respiro decisa a monte.

Quindi il Social Media Manager non ha autonomia?

Assolutamente il contrario. Un buon Social Media Manager è quello che riesce a rendere personali e riconoscibili contenuti utili a posizionare correttamente un brand sul mercato e, successivamente, a supportare la vendita dei suoi prodotti e servizi. Questo significa che il SMM è anche il braccio creativo che propone la migliore strategia per attuare direttive commerciali o piani di comunicazione di lungo periodo, definiti dai Manager delle aree interessate.

Sono figure che non possono coincidere?

In un mondo ideale ci sarebbe un Manager specialista per ogni divisione aziendale. Nel mondo reale sappiamo che questo è difficilmente realizzabile tanto nelle aziende di medie dimensioni quanto, soprattutto, in quelle di piccole dimensioni. La tendenza è quella di accorpare su un unico professionista il ruolo di Marketing Manager e quello di Social Media Manager (spesso anche molti altri) dando per scontato che si tratti della stessa cosa. E’ chiaro che in una azienda di piccole dimensioni è possibile che una sola persona possa occuparsi di entrambi i compiti ma a patto che vengano rispettate alcune condizioni.

Noi abbiamo individuato queste:

  • Una chiara distinzione delle due mansioni con conseguenti obiettivi;
  • Un’obiettiva valutazione delle competenze del professionista scelto;
  • La consapevolezza che un professionista in grado di occuparsi di entrambi i compiti cambiando al bisogno “la casacca” in modo da mantenere sempre chiari gli obiettivi, non può essere una figura junior alle prime armi e soprattutto non può improvvisarsi in un ruolo simile;
  • Nonostante sia implicito che la scelta di un singolo professionista è legata principalmente a un tema di risparmio, non è pensabile retribuirla per entrambi i compiti come se ne gestisse solo uno.

Dobbiamo applicare questo ragionamento anche alla nostra attività consulenziale (mea culpa)

Ci troviamo spesso con i clienti al punto nel quale questa distinzione, che il fornitore dà per scontata, debba essere chiarita al cliente, con una conseguente tensione nei rapporti. Abbiamo imparato a trattare il tema precedentemente alla firma del contratto in modo da non lasciare dubbi sul tema. Sappiamo che un rapporto di consulenza si basa anche su quanto si riesce a far percepire al cliente un rapporto di totale fiducia e supporto concreto, ma è pericoloso non mettere paletti che potrebbero portare il fornitore a lavorare in perdita senza neanche accorgersene creando tensioni, nervosismi e frustrazioni che rischierebbero, anch’essi, di influire negativamente sul rapporto con il cliente.

Francesca Novi

 

 

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